Libia, nel deserto dell’Acacus
Sono partito con un pensiero in testa: resisterò al caldo? Io che prediligo la montagna e i luoghi più freddi in particolare come mi troverò con oltre 40°? E invece sono rimasto piacevolmente sorpreso. La temperatura supera si 40° ma, la totale assenza di umidità e la brezza sempre presente, li rendono sopportabilissimi, non si suda nemmeno. E la notte scende sotto lo zero, bella botta! La cosa che invece ti colpisce è la solitudine e il silenzio, interrotto appena dal fruscio della sabbia trascinata dal vento. Niente altro. Distese di sabbia o roccia a perdita d’occhio, senza nessun segno apparente di vita a parte qualche rara coraggiosa pianta.
Eppure il deserto è vivo, si muove. Quando arrivi ai margini e vedi la linea ben definita fra il terreno e la sabbia capisci che questa è in movimento, si sposta trascinata dal vento, copre tutto quello che trova. E’ come un gigante che si muove talmente lento rispetto ai nostri tempi che non ce ne accorgiamo, e quando ce ne accorgiamo ci ha già nascosto qualcosa. E dentro di esso si muovono tante forme di vita: arbusti, piante, rettili, scorpioni, insetti e anche uomini. Uomini che lo attraversano e uomini che ci vivono.
Ho fatto questo viaggio a Ottobre 2007, con pochi carissimi amici di escursioni. Ci siamo organizzati in proprio appoggiandoci direttamente ad una agenzia locale per limitare i costi e decidendo noi l’itinerario da seguire. In pieno Ramadan, mi sono sempre sentito in colpa a mangiare mentre le nostre guide ci guardavano, anche se per loro scelta. Con il senno di poi l’unico errore che abbiamo fatto è stato quello di dedicare troppi giorni alle città romane della costa e di non averli invece usati per vedere altre zone interne di deserto.
Il viaggio – In aereo fino a Tripoli e poi con un’altro volo fino a Sebha. La prima impressione è di…. un grande disordine, ma la gente è molto ospitale e contrariamente a quello che pensavo non ce l’hanno con noi italiani. Si sale in fuoristrada direzione Acacus: 630 km di strada, in parte sterrata o meglio sabbiata, e siamo al campo fisso di Adad, base per i nostri raid. Non possiamo spingerci troppo verso il confine con Niger e Algeria perchè c’è il rischio predoni. 300 km circa di spostamenti nei giorni seguenti, fra rocce e sabbia, sabbia e rocce, dune, rocce con archi e colonne di tutti i colori, pitture rupestri preistoriche e Touareg di passaggio con i cammelli.
Uno spettacolo che non mi sarei mai aspettato. Le foto non mostreranno mai tutto quello che ho visto e vissuto realmente, le corse in fuoristrada in particolare… Si riparte per Sebha con una breve sosta a Germa. E da qui nel deserto di dune verso l’Erg di Ubari: dune dune e ancora dune, sabbia sabbia e ancora sabbia (che ti entra ovunque), oasi e laghi con acqua salata di un colore rosso vinaccia, sole sole e ancora sole, caldo caldo e ancora caldo. Fuoristrada insabbiati, bisogna spingere. Si riparte con un piccolo pulman verso Ghadames, importante città carovaniera patrimonio Unesco. 873 km di strada quasi tutta perfettamente dritta, con panorama piatto a perdita d’occhio. Che palle… Ma la città vecchia è veramente bella e merita una visita accurata. E poi la sera il tramonto sulle dune.
Ma il ricordo che mi rimarrà impresso per sempre è quello di un peperone mangiato a pranzo in una casa locale: ho pianto lacrime bollenti… Si riparte, altri 750 km per arrivare a Tripoli con una sosta alla città/granaio di Nalut. Solita strada pallosa. Gli ultimi giorni li abbiamo dedicati a Tripoli (caotica, bella, anche se un poco sporca) e alle rovine delle città romane sulla costa: Lepti Magna, Villa Silin e Sabratah. Per me era meglio dedicare più giorni al deserto.
Ma tutto questo adesso è storia, e chissà di quello che ho visto che cosa è rimasto. Riusciremo a tornarci? Forse la prossima generazione.